Storia del Comune

Storia del Comune di Nulvi

Storia del comune.

Descrizione

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di Giomaria Manconi – Pubblicazione tratta dalla rivista “L’Anglona”
Nulvi è posto alle pendici del Monte San Lorenzo da cui si può ammirare larga parte dell’Anglona, una delle regioni “storiche” della Sardegna il cui territorio è attualmente oggetto di indagine da parte di vari studiosi dell’Università di Sassari e tema di svariate tesi di laurea. Dalle prime testimonianze scritte, databili intorno all’anno mille, risulta infatti che Nulvi appartenne al Giudicato di Torres (o Logudoro) ed in particolare alla “curatoria” dell`Anglona insieme a paesi come Bulzi, Castelsardo, Chiaramonti, Erula Laerru, Martis, Perfugas, Sedini, Viddalba, ecc.., rivestendone anche il ruolo di “capoluogo” allorquando, nel 1448, si concluse la storia delle “signorie” dei Doria in Sardegna. Nel 1420, infatti, la sottomissione dell`Isola alla Corona d`Aragona non fu completa; resistevano strenuamente due sole città: Oristano e Castelgenovese, l`attuale Castelsardo (M. Tidore e M. R. Solinas in “Modelli di turismo in Sardegna” a cura di Antonietta Mazzette). In essa si era rifugiato Nicolo’ Doria e la posizione strategica della città gli permise di resistere a lungo ai ripetuti assedi catalani: la resa avvenne solo nel 1448 e gli Aragonesi, forse per punire tanta resistenza, preferirono organizzare il nuovo sistema amministrativo attorno alla “villa” di Nulvi che assunse perciò la leadership della regione. Leadership che nel corso dei secoli è andata vieppiù venendo meno non soltanto a causa del carattere un po’ “acerbo” dei suoi abitanti. Scriveva infatti il Casalis nel suo monumentale “Dizionario degli Stati di S.M. il Re di Sardegna” nella prima metà dell’800: ” …i nulvesi …sono nel genere laboriosissimi e buoni uomini, ma restii al progresso, né si lasciano facilmente dismuovere dalle consuetudini…”, ma anche e soprattutto a causa dell`isolamento fisico, che potremmo definire “atavico”, dovuto proprio alla mancanza di vie di comunicazione e comunque, di sistemi infrastrutturali che ne impediscono di fatto il decollo e lo sviluppo socio-economico come invece è avvenuto per le zone costiere della Sardegna. Ma se il particolare carattere della popolazione di Nulvi, poco incline ai cambiamenti e legata alla tradizione, hanno da una parte portato il paese a perdere il suo posto centrale in Anglona, ad isolarlo e farlo chiudere in se stesso, dall`altra invece, questo carattere chiuso e legato ai propri usi e costumi ha fatto arrivare ancora integre e del tutto uguali a centinaia di anni fa le tradizioni civili e religiose più importanti. Oltre ai candelieri e ai riti della settimana santa, infatti, Nulvi è uno dei pochi paesi in Sardegna a sfilare col costume originale. Ancora il Casalis, raccogliendo le testimonianze dell`Angius, ci descrive un paese molto attivo e centrale in Anglona per ricchezza e servizi. A metà del 1800 infatti l`Angius dice di Nulvi che era un “…borgo della Sardegna, nella Provincia e Prefettura di Sassari, Capoluogo del Mandamento e Principato dell’Anglona e antico Dipartimento del Logudoro…”. La scuola primaria era frequentata da circa 35 alunni (numero rispettabile se paragonato ai tempi), e solo pochi decenni dopo, nel 1884, fu inaugurata la prima Scuola pratica di Agricoltura della Sardegna che trovò sede presso il convento di Santa Tecla, lo stesso edificio che fu poi “Asilo Infantile Fiori”. Oggi Nulvi conta poco più di tremila abitanti.

 

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Il territorio
Il territorio di Nulvi è caratterizzato da una massiccia presenza di nuraghi, siti archeologici e di luoghi di culto, sia all’interno dell’abitato che in tutto l’agro; fattore  che avvalora la tesi di una località un tempo molto fertile e densamente popolata.
Nulvi infatti è il paese che in rapporto all’estensione del territorio può vantare il maggior numero di nuraghi (tra i 70 e i 100), tra cui alcuni siti di particolare interesse come il Nuraghe “Alvu”, quadrilobato e costruito in pietre squadrate bianche attorno al quale si notano numerose costruzioni. Nuraghe “Orria”, nei cui pressi si trova anche la tomba dei Giganti di Monte Orria, parte integrante di una vera e propria  necropoli. Il Pozzo Sacro e il Nuraghe “Irru”.
Questi Tesori fanno pensare ad una massiccia presenza di uomini già in età prenuragica e nuragica, mentre i conventi e le chiese (nel suo territorio se ne contano almeno 25) ci dimostrano che il fermento di attività continuò fino all’insediamento monastico ed oltre.
La chiesa di San Giovanni, che ormai è inglobata all’interno dell’abitato, fondata attorno al 1100 e ricostruita interamente nel 1600 dai Francescani fu abbandonata per il Convento di Santa Tecla. La Santa Tecla dei miracoli, “Cunventu ‘e giosso” per i nulvesi, è un complesso monastico con annessa la chiesa, nato probabilmente nel 700 come eremo e oggetto di diversi racconti circa i miracoli della campana – che appunto richiamò nel 1604 i monaci di San Giovanni – e quello della Madonna del rimedio che parlando dal quadro della chiesa nel 1652 portò conforto alla popolazione che moriva di peste. La grande importanza che ha avuto questo convento è dimostrata oltre che dai pregevoli dipinti su tela (di cui uno dell’esule fiorentino di formazione tardo manierista Bacio Gorini), dalla presenza della Porta Santa.
Altro Complesso monasteriale con annessa Chiesa è quello di San Bonaventura dove vissero i Minori conventuali; la Chiesa (nota anche come Chiesa di San Sebastiano) presenta caratteristiche analoghe alla Chiesa di Santa Tecla, con i suoi pregevoli altari lignei policromi di foggia tardo barocca, come del resto ci si può aspettare dalle tipologie prescelte dai frati.
Fra le chiese all’interno dell’abitato spicca, per antichità e ricchezza di ornamenti dei suoi numerosi altari, la Chiesa parrocchiale dell’Assunta, titolo che le venne assegnato nel 1605 circa, dopo che già dal XIII e fino al XVII secolo fu sede delle corporazioni del lavoro e probabilmente ebbe anche funzione di oratorio.
Grande importanza riveste altresì la Chiesa dell’Oratorio di Santa Croce dove, oltre alla semplicità dell’impostazione strutturale – (che appare molto prossima a quella della Chiesa del Rosario, posta al centro del paese quasi a fianco della Parrocchiale) – è presente un sepolcro dove viene conservato il simulacro del Cristo utilizzato per i vari riti della Settimana Santa – culminanti oltre che nel tradizionale rito de “S’Iscravamentu” – anche nell’ormai secolare rito de “S’Incontru”, momento in cui la Madonna, portata a spalla dagli Apostoli, incontra il Cristo Risorto, portato invece a spalla dai Confratelli della Confraternita Santa Croce.
La ricchezza delle chiese di Nulvi comprende un altro oratorio sito nei pressi della Chiesa Parrocchiale: si tratta della Chiesa di San Filippo Neri che, attualmente sconsacrata, custodisce per tutto l’anno i Candelieri, enormi strutture a forma di tabernacolo che in occasione della Festa dell’Assunta, che si tiene tutti gli anni a Ferragosto, vengono portati in processione per le vie del paese in segno di ex voto fatto per far cessare una pestilenza che nel XII° secolo imperversò nel territorio di Nulvi ed in tutta la Sardegna, mietendo migliaia di vittime.  La festa dei Candelieri che si tiene a Nulvi, a detta degli studiosi, è tra le più antiche dell’isola (per altre notizie sui Candelieri vedi “L’Anglona” n.3).
Oltre alle numerose chiese ubicate nel centro urbano, come si riferiva innanzi, Nulvi è particolarmente ricco di chiesette rupestri che presentano un diverso stato di conservazione a seconda della lontananza dal centro abitato, ma sicuramente tutte, necessitano di urgentissimi interventi di restauro e recupero, per evitare dei crolli che danneggerebbero irrimediabilmente le strutture portanti delle Chiese medesime.
Fra tutte, ma non uniche, spiccano quella di Sant’Antonio Abate a due chilometri circa dall’abitato e risalente al 1600 circa; quella dello Spirito Santo, in località Colondras e quella di San Lussorio vicinissime fra di loro.
Oltre a queste, il territorio di Nulvi reca le testimonianze della presenza di numerosissime altre Chiese che, a vario titolo, hanno accompagnato la storia e la cultura della popolazione nulvese nell’arco dei secoli: la Chiesa di “Nostra Signora di Monte Alma”, posta su un colle a 4 chilometri circa dall’abitato e assurta ormai a vero e proprio simbolo della cittadina; ed ancora i resti di una Chiesa intitolata a Santa Lucia in località omonima, etc…

 

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I “Candelieri”

di Giomaria Manconi Danilo Cappai
Particolare rilevanza per i nulvesi, ma non solo, rivestono gli ormai secolari “Candelieri”
Per chi vede i candelieri di Nulvi per la prima volta, l’impatto è impressionante. L’emozione provocata dai tre  Giganti è indescrivibile. Il primo pomeriggio del 14 agosto sfilano per le vie del centro storico fino alla chiesa principale per onorare il voto alla Madonna.  Essi si muovono con portamento solenne tra le centinaia di persone che affollano le strade del paese. La massa umana – che sembra quasi fare da tappeto ai candelieri – li accompagna lungo tutto il percorso con sospiir di stupore e impressione, alternati da applausi scroscianti.   E’ la festa del paese, colorato dalle bandierine e dai candelieri giallo, verde e azzurro a rappresentare rispettivamente le messi per il gremio degli Agricoltori (“Sos Messal’os”), il cielo per il gremio degli Artigiani (“Sos Mastros”) e il verde dei campi per quello dei Pastori (“SosPa stores”).  Il turista respira e vive la festa partecipandovi direttamente grazie anche alla calda accoglienza dei nulvesi, che accompagnano volentieri il visitatore lungo l’itinerario facendo osservare, con orgoglio, i momenti salienti della processione e mostrando le difficoltà che i candelieri affrontano. Durante le poche soste è possibile toccare il fuso e brindare assieme ai portatori. Infine la notte, tutti sono invitati alla cena offerta dai comitati che ogni anno si alternano ad organizzare la festa. Questa festa però a Nulvi ha un sapore particolare. Infatti, mentre nello stesso momento a Sassari “la faradda” è accompagnata da una grande allegria, rimarcata dal vociare gioioso della folla che assiste alla danza e alle giravolte dei ceri che seguono il tempo dettato dai tamburi; a Nulvi lo spettatore rimane folgorato dall’incedere a volte elegante a volte incerto che i candelieri assumono a seconda del punto del tragitto in cui si trovano. Quello che colpisce maggiormente è, senza dubbio, la fatica che i portatori sopportano per tutta la processione. La tensione dei muscoli e il sudore sono riflessi nei volti dei numerosi emigrati rientrati per l’occasione e degli stessi nulvesi che vivono il momento con grande partecipazione emotiva perché, se per il visitatore è UNA festa, per la popolazione è un voto alla vergine Assunta e, in quanto tale, un sacrificio che si affronta ogni anno dal XIII secolo. La sofferenza è il simbolo, che qui si è conservato anche nella forma dei candelieri, delle tribolazioni affrontate dalla comunità per combattere la pestilenza del 1200 e che ogni anno si rinnova con grande pathos.  Il sacrificio è la passione dei portatori durante la processione, è la fatica nell’organizzare la manifestazione da parte dei tre comitati, è la dedizione delle donne nel preparare le rose che orneranno i candelieri e i dolci che imbandiranno i tavoli la sera del 14 agosto, dove tutti si prestano a servire l’invitato straniero, italiano, emigrato o nulvese che sia. La sfilata dei Candelieri, per i fedeli,  non è altro che un fregio, un ornamento dei riti più strettamente religiosi incentrati sulla Patrona del paese: la Beata Vergine Assunta. Essi sono l’offerta che la popolazione fa alla Madonna in onore ad un voto fattole in tempo di peste, infatti dopo aver fatto il giro del paese essi sono sistemati all’interno della chiesa parrocchiale con un ordine ben preciso: gli agricoltori entrano per primi in chiesa e sistemano il candeliere al centro, gli artigiani occupano il posto sulla destra della Madonna e i pastori – che hanno l’onore di aprire la sfilata – stanno alla sinistra. Fanno da corona al catafalco della Vergine dormiente vestita e abbellita da una ristretta cerchia di donne che hanno il privilegio di svolgere questo rito a porte chiuse; la vestizione è la fase più delicata tra i riti del ferragosto sia per un motivo religioso che per una questione di semplice sicurezza, infatti la veste viene arricchita (è proprio il caso di dirlo!) da decine di chili di anelli, orecchini e bracciali d’oro offerti in centinaia di anni dai fedeli. A questo punto iniziano i vespri e fanno ingresso in chiesa l’Angelo con gli Apostoli, uomini del Coro di Santa Croce vestiti  in  modo  particolare,  segno dell’antica dominazione spagnola, che intonando 1″‘‘Ave Maris Stella” accompagnano il simulacro dell’Assunta che viene deposto sul letto. La sera del 15 agosto si assiste alla caratteristica funzione dell”apostolato”: gli apostoli venerano  l’Assunta. Vengono ricevuti alla porta della chiesa dal Sacerdote che porge loro l’acqua benedetta e entrando intonano un’antica lode in dialetto catalano (“Bello pro0digio del Cielo / Y de sus luces primor / Ave la mas remontada / Que en d’empireo se’ viò. / Se a eternizare una vida / Plumas os elevan hoios/ Estas dichas entragos / Piedades y assombros son. / En la reciproca hognera / Ostentais tanto blason / Que assegnais que la grassia / Se junto con clamor. / I el nacer in morier / Ha avido peligro”). Ad uno ad uno vanno a inchinarsi alla SS. Vergine Assunta e le baciano i piedi, come fanno tutti i fedeli negli otto giorni in cui i candelieri e la madonna stanno in chiesa. La bellissima funzione viene chiusa dalla benedizione. Questa funzione dell’apostolato si ripete tutte le sere per tutta l’ottava. Il giorno dopo l’ottava finita la messa cantata, gli apostoli ritornano e riportano il simulacro in sacristia; inginocchiati all’altare del Sacramento intonano il “Tè Deum” e cantando ritornano alla chiesa di S.Croce. In questo momento i candelieri vengono riportati nella chiesa di San Filippo che li ospiterà fino all’anno successivo. Fino al 1978, anno dell’ultimo restauro, essi venivano divisi in tante parti e distribuiti alla popolazione e questo comportava un grosso investimento di risorse economiche come può testimoniare un articolo contenuto nel bollettino mensile delle diocesi di Ampurias e Tempio del 1927 (La Gallura e l’Anglona, Bollettino mensile delle diocesi d’Ampurias e Tempio, anno I, n. 5, ottobre 1927, pag. 10.), che merita di essere trascritto non solo per il suo valore di documento storico, ma anche perché testimonia che le stesse usanze, nel bene e nel male, sono state tramandate integralmente fino ad oggi. “Sono grandi le spese che si sostengono per questi candelieri. Noi non vogliamo disprezzare tale usanza, anzi con molto piacere abbiamo assistito a queste feste e allo slancio con cui il popolo contribuisce per la loro costruzione; ma pensiamo che se si potesse tornare alla primitiva usanza il popolo resterebbe sollevato da una spesa non disprezzabile, poiché certi anni si arriva a spendere dalle sei alle settemila lire” … cifra che, anche oggi con l’avvento dell’euro, rimane sempre molto al di sotto di quella attuale.  Il  Candeliere  pesa  circa  9 quintali e viene trasportato da almeno 16 persone alle stanghe e 4 alle corde. E composto di due parti: il piedistallo (fuso) completamente in legno alto circa 2 metri che si inserisce alla base della parte superiore, il capitello – anch’esso in legno – che supporta una fitta trama di tavole e canne coperte esteriormente da cartapesta decorata. Intero è alto 7/8 metri circa. Sono stati rifatti completamente nel 1978, fino ad allora alcuni artigiani li rifacevano tutti gli anni, oggi dopo 24 anni, la struttura inizia a dare segni di cedimento, avrebbero necessità di un intervento urgente. La posizione che hanno oggi i candelieri sia durante la sfilata ( primo quello  dei  pastori,  secondo quello degli artigiani e terzo quello degli agricoltori), che in chiesa, è stato stabilito dalla curia di Tempio e dalla Reale Governazione, il tribunale al quale si rivolsero i gremi nel 1845 proprio per chiedere il diritto di una posizione di maggior prestigio. La posizione era importante perché denotava lo status economico e sociale dei gremi e quindi delle categorie sociali. I candelieri risalgono almeno al XIII secolo, periodo della dominazione pisana. A differenza di Sassari e Ploaghe, quando gli aragonesi vietarono di proseguire le tradizioni pisane, e imposero la forma di cero, i nulvesi  hanno  invece  continuato  la tradizione e i Candelieri hanno mantenuto la loro forma originaria e, da cerimonia imposta, sono diventati il simbolo del sentimento religioso del paese.

Ultimo aggiornamento: 06/03/2024, 10:13

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